La stagnazione perpetua

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Lo scorso 16 Novembre, l’ex segretario al Tesoro americano Larry Summers ha tenuto un discorso provocatorio ad una conferenza del Fondo Monetario, dove ha sostenuto che un’epoca di stagnazione duratura, in cui l’equilibrio dei tassi di interesse è negativo, potrebbe spiegare la mancanza di pressioni inflazionistiche sperimentato negli anni del boom della decade precedente e nel corso del lento recupero post crisi del 2007.

Negli anni precedenti la crisi e la recessione, il denaro facile e le politiche di regolamentazione poco stringenti avrebbero dovuto favorire pressioni al rialzo sulla domanda, una ripresa dell’inflazione e una situazione simile ad un boom economico. Ma in realtà nulla di tutto ciò è avvenuto; l’economia non si è surriscaldata e si è assistito ad una fase di relativa crescita senza slancio.

Negli anni compresi tra la crisi e la recessione, il recupero sarebbe dovuto essere relativamente forte, una volta che il panico fosse cessato. In realtà la ripresa dell’economia è stata relativamente fiacca. L’occupazione, intesa come percentuale della popolazione in età lavorativa, non è aumentata e il gap presente tra il GDP reale e il GDP potenziale non si è chiuso.

Un periodo estremamente prolungato di declino nell’equilibrio dei tassi reali, ha completamente disinnescato qualsiasi effetto positivo sulla domanda, dovuti alla politica dei bassi tassi di interesse prima della crisi. Anche attualmente, con una politica dei tassi di interesse a zero, il basso equilibrio nei tassi di interesse lascia l’economia in uno stato di prostrazione.

Dobbiamo quindi chiederci negli anni a venire, come gestire un’economia in cui i tassi nominali vicini allo zero siano un cronico e sistemico inibitore dell’attività economica, che costringe le nostre economie a viaggiare ben al di sotto del loro potenziale.

La paura fa… ’37

crisi-del-1937Perché la FED si è fermata sulla riga e non ha attuato le misure restrittive sul riacquisto di asset, già da mesi preannunciate e ormai scontate dal mercato?

Una delle tante spiegazioni potrebbe risiedere nel timore, da parte delle autorità monetarie, che l’inizio della fase di tapering, innestata su un’economia Americana sotto certi aspetti ancora fragile, avrebbe causato o causerebbe una brusca frenata della crescita, con conseguenti rischi di ricaduta in recessione.

Lo scenario ricorda molto da vicino ciò che accadde nel lontano 1937. Bernanke, attento studioso di quel periodo di storia economica americana…..lo sa.

Infliggere tagli di spesa e aumenti di tasse in un’economia già debole, è la ricetta per una catastrofe. Fu proprio questo l’errore di F.D. Roosevelt, la lezione del ’37. In quell’anno il presidente del new deal credette di aver debellato definitivamente la grande depressione e cambiò segno alle sue politiche economiche, tagliando le spese e alzando il prelievo fiscale. Il 1937 segnò la ricaduta in una recessione grave. Analogie e parallelismi con quanto accade oggi sono forti, perché oggi come allora i governi devono decidere se e quando invertire le politiche di spesa e di moneta facile usate per combattere la fase iniziale della crisi.

Non tutti danno la medesima spiegazione di quella fatidica annata. Alcuni sostengono che la vera colpevole della ricaduta fu la FED: la banca centrale avviò una stretta monetaria per paura dell’inflazione, le banche razionarono il credito. Altri autorevoli studiosi sono comunque convinti che il 1937 ebbe un’altra causa, e cioè i tagli di spesa decisi anzitempo da Roosevelt.

Tre sono gli aspetti che a nostro avviso sono stati presi in considerazione dalla FED nell’ultima riunione, e tutti hanno condizionato le decisioni di politica monetaria, volte al mantenimento dello stimolo monetario.

  • Incertezza sulla politica interna e sulle prossime discussioni sul tetto sul debito (debt ceiling)
  • Le incertezze di carattere geopolitico (Siria)
  • La considerazione che il tasso di inflazione sia in continua discesa e non sia assolutamente un problema per la stabilità economica

Probabilmente un mix di tutti e tre gli aspetti hanno condizionato la Banca Centrale, anche se è stato chiarito che si tratta di un rinvio e non di una cancellazione del programma di riduzione degli acquisti di titoli.

“Dopo una crisi economica, è forte la voglia di dichiarare vittoria e tornare alla normalità. Ma bisogna resistere a quella tentazione.”

Creare il diversivo

1357839506832_0A causa della recessione in corso e dell’inflazione al di sotto del target, la pressione sta salendo nei riguardi della Bce, affinchè faccia di più. La Banca Centrale, tuttavia continua a muoversi molto lentamente e in maniera incrementale, principalmente con il fine ultimo di mantenere pressione sui governi e le banche, affinchè risolvano le cause della crisi alla radice. Altra ragione del lento agire è che in cuor suo, la BCE non ha rinunciato all’idea di un recupero dell’economia nella parte finale dell’anno. Ad un certo punto la pressione affinchè “faccia di più” potrebbe portare in ebollizione il clima circostante, se le condizioni dei mercati finanziari si deteriorassero ulteriormente, o se le aspettative di inflazione si disancorassero verso il basso. A questo punto, la BCE supererà ogni riserva sull’acquisto di asset, sull’annuncio di ulteriori interventi sui tassi e sul prendere più rischio nel suo bilancio. Ma per adesso continua a resistere, dirottando il dibattito su questioni di minore importanza (se e quando tagliare di altri 25 bps o no). Ciò distrae convenientemente dal dibattito maggiore, dalle vere ragioni dell’inerzia.
La Banca Centrale dovrebbe agire di più nell’ambito tassi, nel fissare misure di trasmissione di politica monetaria, e nel fornire maggiore guidance sui tassi. Non è necessario che si spinga all’estremo sullo stile della FED, ma dovrebbe fornire un calendario sugli obiettivi e fornire all’opinione pubblica la propria prospettiva del sentiero dei tassi.
Quindi, una continua e forse giustificata mancanza di fiducia nei governi e nelle banche e il dibattito in in corso in Germania sulla forzatura del suo mandato, stanno agendo da freno all’azione della Banca Centrale.