FED nella trappola del QE

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La decisione presa nel meeting del 18 settembre, di non procedere con la riduzione degli acquisti di asset, ha scioccato non poco il mercato. La decisione ha spinto al ribasso i tassi a lungo termine negli Stati Uniti e in molti altri paesi, comprese le economie emergenti. Il dollaro si è indebolito leggermente e i mercati azionari hanno ripreso a salire.
Ora il rischio è che emerga il costo “reale” del quantitative esasing:
D’ora in poi ogni volta che si parlerà di fine del QE, i tassi a lunga cominceranno a risalire, gettando acqua fredda sull’economia e rendendo di nuovo difficile per la banca centrale modificare l’assetto di politica monetaria.
Non appena l’economia accenna a migliorare, le autorità monetarie cominciano a parlare di tapering; come conseguenza diretta i tassi cominciano a salire, stroncando sul nascere sia la ripresa che l’inflazione. In questo scenario di incertezza, nulla riesce realmente a riprendersi, poichè gli operatori economici e i detentori di abitazioni vivono in costante apprensione per i repentini rialzi dei tassi di interesse.
Non solo per la FED, ma per tutte quelle autorità monetarie che hanno scelto la via del riacquisto di titoli a lungo termine ( US, UK, e Giappone), il rischio ora è quello di essersi piazzate in una trappola da cui impiegheranno forse anni per uscire. Il QE si sta dimostrando una politica facile da intraprendere, ma ben più ardua da interrompere.
Quella del QE si può facilmente assimilare ad una saga, degna dei migliori film Hollywoodiani, in cui la sua introduzione corrisponde al primo capitolo.
Il secondo capitolo è iniziato nel maggio scorso, nel frangente in cui la FED ha iniziato a parlare di rimozione dello stimolo monetario. Esso coincide anche con il momento in cui la Banca Centrale cade nella “trappola” del QE; cioè dove il solo effetto annuncio provoca il rialzo repentino dei tassi e rischia di arrestare il recupero dell’economia.
Veniamo ora al terzo capitolo: la fase in cui il settore privato e immobiliare, completata la lunga e faticosa fase di riparazione dei propri bilanci, ricominciano prepotentemente a richiedere prestiti. Si creerebbe il rischio di una forte restrizione monetaria, in cui la FED sarebbe costretta a pagare alti tassi di interesse sulle riserve di liquidità in eccesso delle banche (al fine di evitare un elevato tasso di impieghi al settore privato). La Banca Centrale andrebbe incontro anche a ingenti perdite in conto capitale sui bond che detiene in portafoglio, a causa del deprezzamento dei titoli.
Il costo del QE, potrà essere calcolato solo al termine del quarto ed ultimo capitolo della saga: la FED arriva alla conclusione che deve liberarsi dal fastidioso problema dell’eccesso di riserve il prima possibile. A questo punto la FED si mette a lavorare con il Tesoro, riducendo la duration del suo portafoglio attraverso una inversa Operation Twist e utilizzando i bond a breve termine ottenuti per drenare le riserve in eccesso delle banche.
L’incognita è che non sappiamo quanti anni ci vorranno ancora per arrivare al termine del quarto capitolo…

La paura fa… ’37

crisi-del-1937Perché la FED si è fermata sulla riga e non ha attuato le misure restrittive sul riacquisto di asset, già da mesi preannunciate e ormai scontate dal mercato?

Una delle tante spiegazioni potrebbe risiedere nel timore, da parte delle autorità monetarie, che l’inizio della fase di tapering, innestata su un’economia Americana sotto certi aspetti ancora fragile, avrebbe causato o causerebbe una brusca frenata della crescita, con conseguenti rischi di ricaduta in recessione.

Lo scenario ricorda molto da vicino ciò che accadde nel lontano 1937. Bernanke, attento studioso di quel periodo di storia economica americana…..lo sa.

Infliggere tagli di spesa e aumenti di tasse in un’economia già debole, è la ricetta per una catastrofe. Fu proprio questo l’errore di F.D. Roosevelt, la lezione del ’37. In quell’anno il presidente del new deal credette di aver debellato definitivamente la grande depressione e cambiò segno alle sue politiche economiche, tagliando le spese e alzando il prelievo fiscale. Il 1937 segnò la ricaduta in una recessione grave. Analogie e parallelismi con quanto accade oggi sono forti, perché oggi come allora i governi devono decidere se e quando invertire le politiche di spesa e di moneta facile usate per combattere la fase iniziale della crisi.

Non tutti danno la medesima spiegazione di quella fatidica annata. Alcuni sostengono che la vera colpevole della ricaduta fu la FED: la banca centrale avviò una stretta monetaria per paura dell’inflazione, le banche razionarono il credito. Altri autorevoli studiosi sono comunque convinti che il 1937 ebbe un’altra causa, e cioè i tagli di spesa decisi anzitempo da Roosevelt.

Tre sono gli aspetti che a nostro avviso sono stati presi in considerazione dalla FED nell’ultima riunione, e tutti hanno condizionato le decisioni di politica monetaria, volte al mantenimento dello stimolo monetario.

  • Incertezza sulla politica interna e sulle prossime discussioni sul tetto sul debito (debt ceiling)
  • Le incertezze di carattere geopolitico (Siria)
  • La considerazione che il tasso di inflazione sia in continua discesa e non sia assolutamente un problema per la stabilità economica

Probabilmente un mix di tutti e tre gli aspetti hanno condizionato la Banca Centrale, anche se è stato chiarito che si tratta di un rinvio e non di una cancellazione del programma di riduzione degli acquisti di titoli.

“Dopo una crisi economica, è forte la voglia di dichiarare vittoria e tornare alla normalità. Ma bisogna resistere a quella tentazione.”

Il tasso target

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Mercoledì sera, sarà molto importante la comunicazione del tasso target sui Fed Fund, ritenuto appropriato per la fine del 2016. La riunione del Fomc infatti, comunicherà il livello obiettivo di tale tasso, unitamente alla ormai scontata riduzione degli acquisti di obbligazioni.
La media delle aspettative sul tasso target al 2016 si colloca al 2,5%. Il verificarsi di tale pronostico avrebbe un effetto limitato sui mercati, per due ordini di ragioni:

    Il ciclo dei rialzi previsti fino al 2016, sarebbe molto simile a quello innescato nel periodo 2004-2016, con rialzi di 0,25% ad ogni meeting con un ritmo ben preciso da parte della FED.
    Il tasso implicito dei contratti future sull’Eurodollaro Dic-2016 si colloca attualmente attorno al 2,5%, con attese pressoché identiche all’ipotetico tasso di riferimento.

Senza una modifica sostanziale della forward guidance, l’effetto sui mercati sarebbe neutrale, con un moderato proseguimento della fase rialzista dei segmenti a lunga, supportato da un continuo miglioramento dei dati congiunturali.

Tutt’altro effetto sui mercati avremmo invece se le previsioni sul tasso guida per il 2016 si assestassero nell’intorno del 2%.

    Rappresenterebbe un ciclo rialzista eccezionalmente lento rispetto al passato e rispetto alle aspettative, con rialzi di 0,25% ogni due meeting.

Un’indicazione così difensiva sui tassi prospettici, determinerebbe un temporaneo calo dei rendimenti lungo tutta la curva.

Analogamente, favorevoli al mercato obbligazionario, sarebbero eventuali comunicazioni relative al tasso target di inflazione o alla riduzione della soglia per il tasso di disoccupazione. Tali affermazioni farebbero ritenere agli operatori che il ciclo restrittivo ritarderebbe di diversi mesi.

Tuttavia, riteniamo che il movimento di correzione al ribasso dei tassi avrebbe vita breve, poiché gli operatori tornerebbero in breve a considerare i dati congiunturali e le inevitabili implicazioni che comportano: miglioramento del ciclo economico e tassi in rialzo.

Dopo il tapering, il QE4

Lanciamo una provocazione. Se dopo tanto parlare di riduzione dell’acquisto di titoli da parte della Fed, si ritornasse sull’argomento QE?
Sembra un’ipotesi assai remota e prematura, ma prendiamo in considerazione alcuni aspetti che potrebbero far cambiare idea alla Banca Centrale.
Le conseguenze del tapering, cioè tassi di interesse di mercato più elevati, inseriti in un contesto di economia Usa ancora debole ed incerta, potrebbero far tornare la Fed sui propri passi e riconsiderare un ritorno alla fase di acquisto di bond.
Dal mese di maggio il solo parlare di riduzione dello stimolo ha innalzato i tassi sui mutui di un punto percentuale, da circa il 3,5% al 4,5%. Tale balzello ha spaventato sia i compratori di case sia gli stessi costruttori.
Vi sono almeno tre ragioni che fanno pensare ad un ritorno dei tassi verso livelli più bassi e ad un abbandono della politica di riduzione degli acquisti:
1- Il lato dell’offerta di treasuries che arriverà sul mercato nei prossimi mesi. La riduzione del deficit in corso, grazie ai tagli di spesa e innalzamento delle tasse, diminuirà l’offerta di bond sul mercato, con una media nei prossimi anni di circa 400-500 miliardi di dollari all’anno.
2- il ritmo di crescita degli Stati Uniti sta rallentando. Le previsioni per la crescita nel terzo trimestre (rilasciate ufficialmente il 30 ottobre), sono state abbassate dal 2,5% di agosto all’ 1,5% di settembre, livello pericolosamente vicino alla velocità di stallo per l’economia USA (1%). Una minor crescita si dovrebbe tradurre in una minore richiesta di finanziamenti da parte del settore privato e delle imprese, con il risultato di calmierare i tassi di interesse di mercato.
3- La terza ragione per supporre un livello futuro dei tassi più basso di quello attuale è il persistente calo del tasso di inflazione, in corso dalla metà del 2011.
Un’inflazione attuale più bassa, spinge al ribasso le aspettative future di inflazione, con un equivalente abbassamento della curva dei tassi di interesse. La spesa per consumi (PCE), molto seguita dalla Fed, si trova ben al di sotto del tasso soglia obiettivo della banca centrale (2%).
Il mandato della Banca include un obiettivo di piena occupazione, unitamente ad un obiettivo di bassa inflazione: entrambi i livelli attuali sono lontani da quelli prefissati e occorrerebbe mantenere l’attuale fase espansiva, anziché pensare al ritiro dello stimolo monetario.
Nel complesso l’idea di abbandonare il QE sarebbe molto buona, ma è il contesto in cui si andrà ad applicare che non è ancora idoneo. Un contesto di politiche fiscali ancora restrittive, una crescita USA e globale in rallentamento, e uno scenario inflazionistico inesistente, non sono certo compatibili con tassi di interesse in deciso aumento come quelli attuali.

Una questione di qualità

Non finiremo mai di stupirci di come le armi della retorica della BCE siano così variegate e forniscano nuovi spunti di commento ad ogni riunione.
Si è così scoperta una nuova forma di forward guidance: quella qualitativa.
È la strategia attuata dalla Banca Centrale Europea, che si differenzia da quella di tutte le banche centrali mondiali, che attuano ormai una tattica quantitativa. I membri della BCE non intendono quindi fissare parametri di tipo quantitativo, come ad esempio tasso obiettivo di disoccupazione e/o inflazione, ma si limiteranno ad osservare se gli andamenti dei tassi di mercato siano ingiustificati, alla luce delle analisi macroeconomiche. Solo in questo caso potrebbero esserci reazioni di politica monetaria. Notiamo in queste affermazioni molto del pragmatismo di stampo teutonico, avverso per natura a fornire aperture verso politiche di matrice anglosassone.
La vera novità della giornata in realtà consiste nel fatto che la BCE sta puntando l’attenzione sul problema dell’eccesso di riserve.
La banca centrale sta monitorando attentamente la riduzione della liquidità in eccesso nell’Eurosistema e le sue implicazioni sull’andamento dei tassi a breve termine. I rimborsi delle operazioni di LTRO ed altri fattori tecnici, stanno portando il livello delle riserve in eccesso vicino alla soglia dei 200 mld di euro, soglia che il mercato ritiene una barriera sotto la quale si innescherebbero rialzi dei tassi a breve termine. Naturalmente il Governatore ha minimizzato, sostenendo che l’autorità monetaria è pronta ad intervenire nel caso in cui la normalizzazione della liquidità avvenga in maniera disordinata e frammentata. In quel caso è pronta per un intervento sui tassi ufficiali. La BCE cerca di rassicurare i mercati, segnalando che non vuole tensioni sulla curva monetaria.
Alla luce dell’andamento del ciclo economico, non solo europeo, riteniamo piuttosto improbabile un taglio dei tassi, anche se i membri del comitato direttivo hanno valutato con molta prudenza l’attuale ripresa in atto in Europa.
Ci aspettiamo invece interventi di tipo tecnico sulla liquidità, (LTRO) entro la fine dell’anno, con lo scopo di ridurre la frammentazione in atto e prevenire la volatilità dei tassi a breve termine.

Steepening!

Recentemente si è sentito parlare di ‘steepening’ della curva americana.
Si intende che la differenza tra tassi a lunga e breve scadenza è elevata, col risultato di disegnare una curva dei rendimenti molto ripida.
E’ interessante notare che il differenziale tra tassi swap USA a 10 anni e a 2 (attualmente 2.47%) è molto vicino ai massimi storici (circa 2.75%) toccati con precisione quasi svizzera nel periodo 1991/92, 2003/04 e 2009/11.
In passato situazioni di steepening così elevate sono durate molti mesi, se non anni e ciò rende attuale andare alla ricerca di bond le cui cedole sono legate al differenziale tassi. Possiamo inoltre pensare che se ci saranno ulteriori rialzi nei rendimenti a lungo termine, dovranno essere accompagnati da un analogo movimento delle scadenze più corte.
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Il destino dei Treasuries

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Per i posteri, settembre 2013 verrà probabilmente ricordato come il punto d’arrivo della fase espansiva del bilancio della FED. Ormai pare imminente l’inizio del processo di riassorbimento della liquidità generata dagli acquisti di treasuries e MBS iniziato nel lontano 2008. Il processo durerà circa un anno, con una prima riduzione degli acquisti di 10 bn$ di treasury e 5 bn$ di MBS. Se verosimilmente il primo intervento sui tassi ufficiali dovrà avvenire nel corso del 2015, e il tapering dovrà durare circa 12 mesi, allora l’inizio della fase di riduzione dovrà necessariamente coincidere con la riunione di settembre; al più tardi, in caso di dati deludenti sul fronte della disoccupazione, nel prossimo dicembre.

L’effetto annuncio del tapering da parte della FED ha già generato un potente effetto sulla curva dei tassi dei treasury. Dal 20 marzo, data del FOMC, il tasso a 10 anni si è mosso al rialzo di circa 100 bps. Numerosi modelli di previsione concordano sul fatto che la manovra di settembre sia ormai a pieno prezzata nell’attuale curva dei tassi. Forse qualche variazione potrà essere generata, in caso di modifiche dei quantitativi di riduzione o della data di inizio della manovra, ma ormai il movimento incorpora ampiamente lo scenario.

Ma quale scenario si prospetta per il mercato obbligazionario americano, subito dopo l’inizio della fase di tapering ?!?!

Inevitabilmente negativo… e per due ordini di motivi legati essenzialmente a modifiche sul lato dell’offerta e della domanda.

Le emissioni nette di treasuries sono destinate ad aumentare, sopratutto nel periodo post taper. Le emissioni nette sono state effettivamente ridotte dall’espansione del bilancio della FED, tuttavia sono destinate ad incrementarsi notevolmente nel corso del 2014.

Allo stesso tempo, anche dal lato della domanda, stiamo assistendo ad una diminuzione della richiesta da parte di investitori esteri, banche centrali, e banche commerciali.

Quando la FED ha iniziato la campagna di espansione monetaria nel 2008, la domanda di treasuries da parte di questi soggetti si è incrementata a dismisura. La domanda estera ha raggiunto un picco nel corso del 2010 ed è ormai in declino da diversi anni; più recente e repentino è stato il calo della domanda da parte delle banche centrali. Le banche commerciali nel corso degli ultimi mesi sono stati venditori netti di carta, anche per una politica di bilancio e di utili aziendali (limitare le minusvalenze su titoli).

In conclusione, nonostante l’azione della FED, attesa per settembre, sia ampiamente incorporata nei tassi dei titoli governativi americani, il termine dell’espansione monetaria vera e propria attesa per il 2015, unitamente ad altri fattori legati alle dinamiche della domanda e dell’offerta, genereranno pressioni al rialzo sui tassi nei periodi a venire.

Per fine anno si attendono tassi a 10 anni attorno al 3% e tassi del 3,5% per la metà del 2014, una volta che il programma di riacquisto di titoli da parte della FED è giunto al termine.