FED destinata all’insuccesso?

DollarCrisisLe capacità da parte della Federal Reserve di apportare cambiamenti alla crescita economica e all’inflazione, sono stati storicamente discordanti.

Le armi a favore della FED hanno funzionato molto bene quando si trattava di combattere gli eccessi della domanda e un’inflazione galoppante, nei periodi tra le due guerre e tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.

D’altro canto, quando si è ritrovata un’economia eccessivamente sovraindebitata e in una fase disinflazionistica, le politiche monetarie della Banca Centrale hanno faticato ad ottenere risultati in termini di crescita economica o di effetti sull’inflazione. Il periodo tra il 1927 e il 1939 è un chiaro esempio dell’impotenza dell’azione di politica monetaria, durante periodi di sovraindebitamento.

Quattro considerazioni applicate alla fase corrente dell’economia, ci suggeriscono che la FED sarà destinata all’insuccesso nel tentativo di generare maggiore crescita e un’inflazione più elevata attraverso il programma di acquisto di asset:

  1. Le previsioni della FED sono state eccessivamente ottimistiche; le conoscenze e le nozioni di come il programma di acquisto di asset avrebbe funzionato, era imperfetto. Il programma palesemente non sta funzionando come sperato e non vi è possibilità di apportare cambiamenti in corsa. Durante questa fase di espansione del ciclo economico (dal 2009), le previsioni di crescita del GDP reale e dell’inflazione sono stati puntualmente sovrastimati rispetto ai dati appurati. Per esempio le previsioni di crescita del 2013 risulteranno sovrastimate di circa il 50%. Le ragioni di tale gap è da ricercarsi nel fatto che la FED considera ancora attuale, ma forse non dovrebbe, l’effetto ricchezza dovuto a più elevati prezzi delle azioni. Maggior ricchezza uguale maggiore spesa da parte dei consumatori.
  2. I livelli di indebitamento negli Stati Uniti sono così elevati, che il meccanismo tradizionale di trasmissione della politica monetaria, è defunto. Quando il debito pubblico e privato si eleva verso livelli insostenibili (260% del GDP), la crescita economica ristagna. Il sovraindebitamento è la primaria ragione del rallentamento della crescita.
  3. Studi recenti hanno indicato come il programma di riacquisto di asset sia inefficace. Dopo aver sperimentato il programma di riacquisto di asset per circa cinque anni è possibile valutarne l’efficacia: gli studi accademici hanno rivelato l’inefficacia del programma in quanto non sposta in avanti la curva della domanda aggregata ed è quindi inefficace sulla crescita del GDP reale e sul livello dei prezzi.
  4. La diminuzione della velocità di circolazione della moneta ha privato la FED dell’abilità di mantenere un’influenza tangibile sugli aggregati economici. Dal 1997 la velocità di circolazione della moneta è in costante diminuzione, ora siamo ai livelli più bassi degli ultimi 60 anni, mentre il livello di indebitamento è sui livelli massimi. Tale scenario rende inefficace qualsiasi azione di politica monetaria. Il moltiplicatore della moneta, ossia il rapporto tra offerta di moneta M2 (10.8 trilioni di $) e base monetaria (3.5 trilioni di $) è il più basso degli ultimi 100 anni…Il meccanismo di trasmissione di politica monetaria è inceppato: Il QE ha generato ricchezza per gli investitori attraverso il mercato azionario, ma l’economia reale non ne ha beneficiato.

Tesoro: un 2014 difficile

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Conti pubblici che si appesantiscono, rating poco sopra il livello junk, istituti di credito italiani alle prese con vincoli regolamentari crescenti e non altrettanto crescenti utili.

Il Tesoro mette le le mani avanti. Con lo scopo di garantirsi un anno meno impervio e ben 470 miliardi di euro di emissioni, il MEF ha deciso di introdurre garanzie sui derivati con uno scopo evidente: favorire “un più agevole ed economico collocamento di titoli di Stato grazie anche all’alleggerimento dell’esposizione creditizia delle controparti bancarie“.

Ma cosa significa questa affermazione?

Ben 17 su 20 dei cosiddetti Specialist in titoli di Stato Italiani, sono banche estere: sono le stesse banche che sono controparte di gran parte dei derivati conclusi dal Tesoro negli anni scorsi. La decisione di garantire maggiormente chi ha sottoscritto i derivati, in gran parte su tassi di interesse, raggiunge lo scopo di attenuare il rischio Italia per le singole banche straniere, che essendo Specialist, sottoscrivono buona parte del debito emesso dal Tesoro.

L’introduzione delle garanzie potrebbe anche essere preparatorio al ritorno sul mercato delle emissioni in valuta, a partire da quello in dollari dove l’Italia è assente da circa un triennio.

Il ruolo delle banche estere sarà dunque cruciale l’anno prossimo, quando le tre banche italiane rimaste Specialist (Monte Paschi, Unicredit e Intesa), saranno impegnate chi in riduzioni imposte del portafoglio titoli, chi nel mantenimento dei vincoli posti dalla supervisione bancaria europea.

Le banche italiane quindi difficilmente riusciranno nel 2014 ad incrementare la quota già detenuta di titoli di Stato per un duplice motivo: la quota di attivo investita in titoli è sui massimi dalla nascita dell’euro (10,3%) e la dinamica degli attivi non sarà favorevole, almeno nel prossimo semestre.

Il dopo shutdown

shutdown_usaLa soluzione dell’impasse fiscale degli Stati Uniti rimanda semplicemente il problema di un paio di mesi. Gli investitori, attraverso i dati macroeconomici in uscita nelle prossime settimane, valuteranno l’impatto dello shutdown governativo sull’economia e sulla possibilità che si verifichi un ritardo nella manovra di rientro dal QE.

La riduzione del QE, il famigerato tapering, appare sempre meno imminente. Alcune prime stime dei possibili impatti negativi dello shutdown, suggeriscono che la crescita del quarto trimestre potrebbe essere stata ridotta dello 0,6% (in termini annualizzati). Di conseguenza, riteniamo che l’avvio della riduzione del QE sia meno imminente e che la FED potrebbe decidere di attendere fino a gennaio o persino oltre se l’incertezza fiscale persisterà.

Probabilmente in tale contesto sarà difficile osservare un sell-off sul mercato dei Treasury, dopo i dati in uscita questa settimana. Serviranno invece notizie fortemente positive per far riprendere al rialzo il trend dei tassi sulle obbligazioni USA, iniziato quest’estate.

Dopo essere ridisceso ai livelli di inzio settembre, sembra incanalato verso l’obiettivo del 2,5% di rendimento. Tale scenario complica anche il raggiungimento del target di tasso per fine anno che molto probabilmente si assesterà attorno al 3%, ma che difficilmente verrà superato.

Tempo di convertibili

untitledChiaramente non ci riferiamo alla tipologia di automobile “dotata di tetto pieghevole”, che viene rappresentata in foto; anche perchè vista la stagione, rischieremmo quantomeno un raffreddore.

Ci riferiamo invece ad una asset class un po’ sofisticata, ma che vale la pena di prendere in considerazione in questa fase di mercato.

Il ritorno economico delle obbligazioni convertibili è legata a tre diverse fonti indipendenti: Il rendimento, l’opzione sottostante e il mercato azionario. Questa combinazione di fattori aiuta a ridurre la volatilità e fornisce maggiore stabilità alla classe di investimento.

E’ un investimento ciclico ideale in un contesto di tassi di interesse in risalita e mercati azionari in ripresa. Nel lungo termine il ritorno delle obbligazioni convertibili è molto vicino a quello dell’azionario ma con meno volatilità.

Il vantaggio chiave di questo investimento è la riduzione del rischio di “market time”, che storicamente è uno dei fattori chiave più difficili da prevedere quando ci si vuole affacciare sul mercato ed effettuare un investimento.

Storicamente tali obbligazioni hanno fornito una valida alternativa per gli investitori sul reddito fisso.

convertQui a lato un esempio della performance di un titolo convertibile confrontato con l’equivalente corporate bond…

Lo scenario prossimo venturo rimane favorevole per questa asset class, con rendimenti ancora appetibili. La comparazione con l’equivalente bond corporate dovrebbe essere a favore delle convertibili. Per i bond europei potremo assistere ad un repricing del margine di rendimento tra i 200 e i 300 bps a favore dei convertibili rispetti ai bond tradizionali.

Impariamo dalla Spagna

spagna-23In Spagna la svalutazione interna continua… E’ la strategia ottimale per uscire dall’impasse, in assenza della possibilità di svalutare la moneta?

spain wageL’agenzia spagnola delle tasse ha rilasciato in questi giorni i dati sulle grandi aziende, inclusi salari e livelli di occupazione. I salari nominali sono calati dello 0,3% ad agosto, seguendo il trend al ribasso dei mesi precedenti. Pur essendo dati riguardanti le aziende di una certa dimensione, sono indicativi del processo di aggiustamento dei salari che sta riguardanto tutta l’economia spagnola. Anche il tasso di inflazione è in calo; 1,5% in agosto, cosa che rende ancora più evidente  quanto sia ampio l’aggiustamento dei salari reali.

Mentre negli anni 2009-2011 la correzione nel costo unitario del lavoro era guidato essenzialmente dal rapido incremento della disoccupazione, in tempi recenti questa è stata essenzialmente dovuta alla moderazione salariale. Come risultato, la competitività della Spagna è migliorata e la performance delle esportazioni è risultata la migliore tra i paesi della zona euro a partire dal 2010. Queste sono aumentate dell’11% nel 2Q del 2013.

spain exportE’ plausibile aspettarsi il proseguio della moderazione salariale, dell’incremento della competitività e della crescita dell’export anche nel corso del prossimo anno.

La continuazione del trend al ribasso della moderazione salariale, più veloce di quella dei prezzi, si traduce naturalmente in una diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. Almeno fino alla fine del 2014 non si intravedono inversioni del trend.

Il vero motore della crescita deve allora ricercarsi altrove: infatti è la domanda esterna il maggior contributore alla crescita del PIL. Ci si attende per il paese Iberico una crescita nel 2014 dello 0,9%, incremento di tutto rispetto visto la situazione…

Previsioni di Spread

o.171709Perchè mai gli spread dei paesi periferici, Italia compresa, sono stati così contenuti nel periodo precedente la crisi, nonostante fossimo a conoscenza dei forti squilibri macroeconomici e fiscali?

La risposta la troviamo nell’interconnessione tra i fondamentali economici e il rischio di break-up; dove per quest’ultimo intendiamo il rischio di rottura del sistema Euro, in cui un paese membro prima o poi abbandoni, più o meno coattivamente, l’unione monetaria.

Durante i primi dieci anni dell’euro la stabilità della moneta unica non è mai stata messa in discussione, l’adesione all’euro è stata semplicemente considerata come un processo irreversibile e permanente, mentre i palesi difetti della governance europea non erano ancora emersi in tutto il loro splendore…

La crisi greca ha rappresentato un sonoro campanello d’allarme che ha portato ad un brusco repricing del rischio di credito che ha investito rapidamente tutti quei paesi con maggiori squilibri macroeconomici e fiscali.

L’attenzione del mercato si è spostata rapidamente sul tema della sostenibilità delle finanze pubbliche. Le scosse successive causate dalla crisi irlandese e portoghese hanno cementato l’aspettativa che senza disciplina fiscale e una forte dose di convergenza economica, la zona euro sarebbe divenuta insostenibile mantenendo l’attuale architettura istituzionale.

Con un approccio graduale, il rafforzamento dei poteri di vigilanza e controllo (Fiscal Compact), la nascita di un meccanismo di salvaguardia dei paesi dell’Eurozona (ESM) con il possibile convolgimento della BCE attraverso l’OMT e l’ampliamento delle sue competenze in materia di sorveglianza bancaria, rappresentano oggi uno spartiacque con la fase pre crisi.

 Recenti studi riguardanti modelli econometrici, provano a stimare il livello dello spread nei mesi a venire. Assumendo che non vi siano ulteriori scosse provenienti dall’ambito politico, che il programma di riforme non contraddica le indicazioni della Commissione e che prosegua il graduale miglioramento congiunturale, lo spread nei confronti dei titoli governativi tedeschi non potrà che ridursi, anche se il livello attuale incorpora alcune promesse come fossero già mantenute…il che è tutto da verificare.

L’abbraccio mortale

il-milione-36-templi-e-spezie-L-npP71uUn tema caldo, di cui sentiremo parlare nei mesi a venire, riguarda il rapporto tra banche e debiti sovrani. Un rapporto ritenuto per alcuni, sopratutto nella Core Europe, malsano e da regolamentare urgentemente.

E’ da un po’ che si parla dell’argomento, da quando la crisi finanziaria e del debito sovrano hanno messo in pericolo i bilanci bancari. Le autorità monetarie hanno capito che è urgente interrompere il nesso tra debito e banche, in cui i traballanti bilanci degradano la solvibilità dello Stato sovrano, e viceversa. Per completare l’unione bancaria, una rivalutazione del trattamento normativo delle esposizioni sovrane negli istituti è cruciale.

Il quadro normativo attuale privilegia enormemente l’esposizione in debito emesso dagli Stati, in tutte le sue forme. Mentre le esposizioni delle banche verso una singola controparte, o emittente, è strettamente regolamentata e limitata ad un quarto del capitale di rischio, le esposizioni verso debiti sovrani sono esentate dal regime dei grandi fidi. Esposizioni verso gli Stati hanno requisiti di capitale bassissimi o addirittura pari a zero !!!

Tale trattamento preferenziale ha fatto in modo che l’esposizione di tali debiti nei bilanci bancari, sia cresciuta notevolmente nel corso degli ultimi cinque anni; dal 4% al 5,3%. Non solo è cresciuta in termini assoluti, ma si è assistito ad una concentrazione sempre maggiore verso i debiti del proprio paese di origine. Complice il fatto che con l’acuirsi della crisi del debito sovrano in europa, i flussi transnazionali di liquidità sono diminuiti e le istituzioni bancarie hanno concentrato gli acquisti verso prodotti “nazionali”.

Recenti studi hanno inoltre evidenziato come le banche di maggiori dimensioni, le banche meno capitalizzate e quelle che più fanno ricorso a fondi all’ingrosso (interbancario), siano le realtà maggiormente investite in bond sovrani rispetto ad altre. Quindi sono le banche più vulnerabili che si espongono al debito degli Stati.

Banche deboli investono in obbligazioni sovrane ad alto rendimento, rifinanziando l’asset class tramite bassi tassi interesse di mercato. Tali carry trade sostengono la bassa redditività degli istituti e fanno rinviare i necessari adeguamenti del loro modello di business.

Rischi sui debiti degli Stati, potrebbero anche danneggiare l’economia reale. Le banche che sono molto esposte in tal senso, hanno nel tempo ridotto i prestiti al settore privato.

L’attuale ipotesi di regolamentazione che sancisce i titoli di Stato come esenti da rischi è stata ormai superata dalla recente esperienza. I tempi sono ormai maturi per affrontare il problema delle esposizione sovrane. Molto presto vedremo le autorità monetarie impegnate su questo fronte, al fine di interrompere l’abbraccio mortale Banche – Stato.