La tempesta perfetta

Occorre riflettere su alcuni fattori che potrebbero scatenare un ritorno delle paure inflazionistiche, con conseguenze significative sul mercato dei bond e equity.

Il bilancio complessivo delle principali banche centrali si assesterà nel prossimo anno, alla cifra monstre di 28 trilioni di dollari. Una enorme massa di liquidità che si sta riversando sui mercati finanziari, andando ad alimentare in maniera indiscriminata nuovi massimi sul mercato equity e nuovi minimi sui tassi dei mercati obbligazionari.

Il campanello di allarme viene questa volta dai tassi reali negli Stati Uniti. Storicamente il divario tra tassi reali e aspettative di inflazione non sono mai stati cosi ampi.

Recenti studi sulla correlazione tra gli stimoli di politica monetaria (in special modo l’impulso al mercato del credito della Cina) e i tassi a 10 anni negli Stati Uniti, evidenziano come sia probabile, in un orizzonte temporale di circa un anno, che i tassi reali in US possano risalire di circa 150 bp, spingendo il tasso a 10y in area 3%.

Tale scenario avrebbe importanti conseguenze non solo sul mercato dei bond, ma in misura rilevante anche su quello azionario.

La scorsa settimana gli indici azionari ed obbligazionari hanno tremato non poco quando l’asta del 30 us non si è conclusa in maniera soddisfacente e i rendimenti sono risaliti repentinamente, trascinandosi anche i mercati europei

Questa settimana sono in programma aste impegnative su carta superiore a 20 anni, in Germania, Francia, Uk e soprattutto negli Stati Uniti. Visto il ritorno dell’attenzione al tema dei tassi, queste aste verranno monitorate attentamente dal mercato, come del resto qualsiasi dato macro inerente al tema inflazione.

Nel caso in cui il fantasma dell’inflazione riapparisse sui mercati, le ripercussioni sarebbero notevoli:

  • Bear steepening sulla curva dei rendimenti, con i tassi a breve mantenuti ancorati dalle politiche ultra espansive delle banche centrali, ma tassi a lunga in deciso rialzo
  • Impatto sul mercato equity importante dove la correlazione tra tassi a lunga e prezzi delle azioni è decisamente significativa. Tassi nominali vicini al 3% potrebbero mandare in crisi le aziende più indebitate o quelle ad alto dividendo.

In caso di shock violenti dovuti ad un inaspettato ritorno dell’inflazione sullo scenario macro, alle banche centrali rimarrebbe un’importante carta da giocare, cioè la YCC, il controllo della curva dei rendimenti, sullo stile della BOJ. La Fed potrebbe stabilire una banda minima e massima di oscillazione dei tassi a lunga, in modo tale da mantenere ben ancorate le aspettative sui tassi di interesse.

Le prossime settimane saranno importanti per definire uno scenario più o meno reflazionistico. Se poi ad esso si aggiungesse la notizia di un efficace vaccino per l’attuale pandemia, allora sarebbe la tempesta perfetta; una ripresa vigorosa dell’economia, già ampiamente inondata di liquidità come mai in passato…

Allacciamo le cinture di sicurezza…

Focus sul mercato primario

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Dopo l’emissione monstre di oggi, la pressione sul lato dell’offerta di debito pubblico diminuirà in maniera considerevole.
Il Tesoro Italiano ha appena concluso la nuova emissione del BTP Italia Novembre 2017 per un ammontare record di 22,3 miliardi di euro. La dimensione delle richieste ha sorpreso un po’ tutti e rappresenta un ottimo biglietto da visita per le emissioni future.
In seguito al risultato dell’emissione odierna, ci aspetteremmo emissioni di debito più contenute sia a metà novembre che a fine novembre; la cancellazione dell’emissione di BTP di metà dicembre e un’emissione netta negativa di BOT in dicembre.
In sostanza assisteremo a una diminuzione della pressione di offerta, che sarà un fattore supportivo per i tassi di interesse sul debito italiano, almeno fino alla fine dell’anno.
Da inizio anno l’ammontare di emissioni domestiche (incluso il BTP Italia di oggi) si attesta a 243 miliardi di euro. Le emissioni lorde di BOT a circa 200 miliardi di euro. Per il 2013 le emissioni nette si attestano a circa 94 miliardi di euro.
Il grosso ammontare odierno collocato permetterà al Tesoro di utilizzare la disponibilità delle emissioni nette per effettuare degli aggiustamenti al piano di emissioni per quest’anno, anche in termini di tipologie di titoli.
Per quanto riguarda le emissioni a brevissimo termine, assisteremo probabilmente fino a fine anno ad una offerta netta negativa di circa 4 miliardi di euro di BOT, il che renderà lo strumento ben sostenuto nelle aste, sopratutto in Dicembre.
Anche per le aste a M/L termine assisteremo ad un’offerta ridotta da qui a fine anno: circa 15 miliardi di €, inferiore alla media di inizio anno. Se poi aggiungiamo i 20 miliardi di titoli in scadenza in Dicembre, i fattori supportivi per i titoli di Stato Italiani sono indubbiamente confermati.

FED destinata all’insuccesso?

DollarCrisisLe capacità da parte della Federal Reserve di apportare cambiamenti alla crescita economica e all’inflazione, sono stati storicamente discordanti.

Le armi a favore della FED hanno funzionato molto bene quando si trattava di combattere gli eccessi della domanda e un’inflazione galoppante, nei periodi tra le due guerre e tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.

D’altro canto, quando si è ritrovata un’economia eccessivamente sovraindebitata e in una fase disinflazionistica, le politiche monetarie della Banca Centrale hanno faticato ad ottenere risultati in termini di crescita economica o di effetti sull’inflazione. Il periodo tra il 1927 e il 1939 è un chiaro esempio dell’impotenza dell’azione di politica monetaria, durante periodi di sovraindebitamento.

Quattro considerazioni applicate alla fase corrente dell’economia, ci suggeriscono che la FED sarà destinata all’insuccesso nel tentativo di generare maggiore crescita e un’inflazione più elevata attraverso il programma di acquisto di asset:

  1. Le previsioni della FED sono state eccessivamente ottimistiche; le conoscenze e le nozioni di come il programma di acquisto di asset avrebbe funzionato, era imperfetto. Il programma palesemente non sta funzionando come sperato e non vi è possibilità di apportare cambiamenti in corsa. Durante questa fase di espansione del ciclo economico (dal 2009), le previsioni di crescita del GDP reale e dell’inflazione sono stati puntualmente sovrastimati rispetto ai dati appurati. Per esempio le previsioni di crescita del 2013 risulteranno sovrastimate di circa il 50%. Le ragioni di tale gap è da ricercarsi nel fatto che la FED considera ancora attuale, ma forse non dovrebbe, l’effetto ricchezza dovuto a più elevati prezzi delle azioni. Maggior ricchezza uguale maggiore spesa da parte dei consumatori.
  2. I livelli di indebitamento negli Stati Uniti sono così elevati, che il meccanismo tradizionale di trasmissione della politica monetaria, è defunto. Quando il debito pubblico e privato si eleva verso livelli insostenibili (260% del GDP), la crescita economica ristagna. Il sovraindebitamento è la primaria ragione del rallentamento della crescita.
  3. Studi recenti hanno indicato come il programma di riacquisto di asset sia inefficace. Dopo aver sperimentato il programma di riacquisto di asset per circa cinque anni è possibile valutarne l’efficacia: gli studi accademici hanno rivelato l’inefficacia del programma in quanto non sposta in avanti la curva della domanda aggregata ed è quindi inefficace sulla crescita del GDP reale e sul livello dei prezzi.
  4. La diminuzione della velocità di circolazione della moneta ha privato la FED dell’abilità di mantenere un’influenza tangibile sugli aggregati economici. Dal 1997 la velocità di circolazione della moneta è in costante diminuzione, ora siamo ai livelli più bassi degli ultimi 60 anni, mentre il livello di indebitamento è sui livelli massimi. Tale scenario rende inefficace qualsiasi azione di politica monetaria. Il moltiplicatore della moneta, ossia il rapporto tra offerta di moneta M2 (10.8 trilioni di $) e base monetaria (3.5 trilioni di $) è il più basso degli ultimi 100 anni…Il meccanismo di trasmissione di politica monetaria è inceppato: Il QE ha generato ricchezza per gli investitori attraverso il mercato azionario, ma l’economia reale non ne ha beneficiato.

Tesoro: un 2014 difficile

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Conti pubblici che si appesantiscono, rating poco sopra il livello junk, istituti di credito italiani alle prese con vincoli regolamentari crescenti e non altrettanto crescenti utili.

Il Tesoro mette le le mani avanti. Con lo scopo di garantirsi un anno meno impervio e ben 470 miliardi di euro di emissioni, il MEF ha deciso di introdurre garanzie sui derivati con uno scopo evidente: favorire “un più agevole ed economico collocamento di titoli di Stato grazie anche all’alleggerimento dell’esposizione creditizia delle controparti bancarie“.

Ma cosa significa questa affermazione?

Ben 17 su 20 dei cosiddetti Specialist in titoli di Stato Italiani, sono banche estere: sono le stesse banche che sono controparte di gran parte dei derivati conclusi dal Tesoro negli anni scorsi. La decisione di garantire maggiormente chi ha sottoscritto i derivati, in gran parte su tassi di interesse, raggiunge lo scopo di attenuare il rischio Italia per le singole banche straniere, che essendo Specialist, sottoscrivono buona parte del debito emesso dal Tesoro.

L’introduzione delle garanzie potrebbe anche essere preparatorio al ritorno sul mercato delle emissioni in valuta, a partire da quello in dollari dove l’Italia è assente da circa un triennio.

Il ruolo delle banche estere sarà dunque cruciale l’anno prossimo, quando le tre banche italiane rimaste Specialist (Monte Paschi, Unicredit e Intesa), saranno impegnate chi in riduzioni imposte del portafoglio titoli, chi nel mantenimento dei vincoli posti dalla supervisione bancaria europea.

Le banche italiane quindi difficilmente riusciranno nel 2014 ad incrementare la quota già detenuta di titoli di Stato per un duplice motivo: la quota di attivo investita in titoli è sui massimi dalla nascita dell’euro (10,3%) e la dinamica degli attivi non sarà favorevole, almeno nel prossimo semestre.

Il prodigio americano

142633922-ac1f1755-398a-49bf-ae78-a97913bd505fL’impennata della spesa pubblica e la contrazione delle entrate fiscali hanno determinato enormi deficit fiscali negli anni 2009 e 2010.

La grande recessione ha inferto un duro colpo all’economia statunitense, che alla fine del 2009 aveva perduto circa 9 milioni di posti di lavoro. Questo impatto, unitamente al ribasso senza precedenti degli utili aziendali ( e di conseguenza del gettito fiscale), all’ingente spesa legata allo stimolo fiscale, ha creato un enorme buco nel bilancio federale, che nell’esercizio 2009 ha toccato il record del dopoguerra a 1.400.000 miliardi di dollari, ovvero circa il 10% del Pil Statunitense.

Tuttavia da allora l’economia USA ha creato quasi 7 milioni di posti di lavoro e gli utili aziendali hanno sorpassato i massimi storici; il che ha permesso alle entrate federali di recuperare terreno. Alla rapida contrazione del deficit hanno contribuito anche l’aumento delle aliquote fiscali e la riduzione della spesa pubblica, legata alle leggi sul controllo del budget e tagli automatici alla spesa. Secondo le stime, le misure intraprese e le leggi vigenti dovrebbero ridurre il deficit a soli 642 miliardi di dollari entro la fine dell’esercizio fiscale corrente, da 1,1 miliardi appurati alla fine del 2012!!! Si tratta del minor livello di deficit dal 2008 e pari solamente al 4% del Pil federale.sg2013071741415

Ciò dovrebbe favorire la stabilizzazione del rapporto debito/Pil; infatti alla luce di questi sviluppi, le agenzie di rating hanno rivisto al rialzo, da negativo a stabile, l’outlook di lungo termine sul debito statunitense.

Sebbene il disavanzo dovrebbe continuare a ridursi nell’anno 2014, il “fiscal drag” associato alle decisioni prese all’inizio dell’anno, dovrebbe iniziare ad attenuarsi dando slancio alla crescita.

Operativamente, la contrazione del deficit comporta diverse implicazioni di rilievo:

  • Maggior slancio alla crescita: il drenaggio fiscale frena l’espansione, tuttavia la capacità di tenuta dell’economia statunitense si sta dimostrando prodigiosa, ed è indicativa di un potenziale di crescita molto più consistente in futuro.
  • Minori rischi politici: il progresso fatto sul fronte del deficit potrebbe dare al Tesoro maggiore spazio di manovra e scoraggiare uno scontro tra i partiti in tema di tetto sul debito.
  • L’aumento dei tassi: Gli ultimi dati sul disavanzo fanno apparire il programma di riacquisto di titoli da parte della Fed, sempre più eccessivo. L’offerta riassorbita dalla banca centrale fa aumentare il rischio di un forte ridemensionamento dei mercati obbligazionari nel momento in cui il programma verrà ritirato.