Dicotomia

untitledDa dove proviene la liquidità che alimenta i mercati azionari? Il grafico sovraesposto compara l’andamento dell’indice americano azionario S&P 500 con l’indice del “Carry Trade”. Questo indice rappresenta il ritorno dell’investimento che si ottiene acquistando futures delle divise ad alto tasso di rendimento e andando short delle divise G10  (tra cui euro, dollaro, yen,franco svizzero, ecc…), notoriamente divise rappresentative di paesi con bassi tassi di interesse. Fino a maggio di quest’anno è facile notare una totale correlazione tra andamento dell’indice equity e l’indice carry trade. In sostanza gli operatori si finanziavano in divise a basso rendimento per investire la liquidità su mercati azionari e mercati emergenti.

Qualcosa però recentemente si è inceppato nel meccanismo: Il carry trade, a seguito dei timori di rialzo dei tassi americani, è in fase di smontamento. Il mercato azionario però è rimasto lassù, ben sostenuto. Da dove arriveranno allora le risorse liquide che occorrono per mantenere in alta quota i mercati azionari?.

In parte ci si finanzia ora con la vendita di obbligazioni, principalmente dei paesi core, che hanno rendimenti ormai inferiori all’inflazione.

Le socièta quotate pongono in essere buy back di azioni proprie con lo scopo di sostenere le quotazioni e creare ulteriore valore per gli azionisti. Ponendo in essere operazioni di questo genere, utilizzano la liquidità di cassa di cui dispongono, sottraendola in parte agli investimenti aziendali.

Oppure, il mercato azionario si dovrà adeguare alla temporanea carenza di liquidità e intraprendere un ridimensionamento delle quotazioni, almeno fino a quando la rotazione tra mercato obbligazionario e azionario, non sarà più evidente.

Grazie Ben !

Il Fomc c’è stato, Bernanke ha parlato, gli effetti si sono notati oggi sui mercati.

Il tono della sua orazione è risultato molto più aggressivo di quanto ci si aspettasse. La Fed ha puntato l’accento sul timing del tapering (chiusura del rubinetto della liquidità), fornendo addirittura nel dettaglio la tempistica e lasciando una parentesi aperta (ma più per retorica) sulla possibilità che il medesimo non avvenga, o che il QE addirittura possa essere incrementato.

Il messaggio che è arrivato ai mercati è stato chiaro e inequivocabile: l’ago della bilancia ora si è spostato decisamente verso una diminuzione degli stimoli monetari, agganciando in chiave prospettica le previsioni positive sull’evolversi del ciclo economico USA.

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L’esito della riunione di ieri costringe tutti a un grosso lavoro: quello di ragionare, dopo anni di sbornie, in termini più realistici; di tornare a valutare gli asset con una modellistica che usa la macroeconomia come variabile indipendente anziché la liquidità.

I mercati oggi hanno reagito in maniera estremamente scomposta, vendendo tutto ciò che avesse un prezzo, su qualsiasi mercato e asset class, in maniera trasversale. Ci aspettiamo alcune giornate di volatilità, prima che il mercato ritrovi un certo equilibrio e torni a prezzare correttamente le variabili, magari su livelli di tasso più elevati (2,70% sul treasury e 1,75% sui Bund).

La manovra di rientro dai carry trade oggi si è vista chiaramente (mercati emergenti e divise emergenti) e potrebbe proseguire anche nelle prossime settimane.

Per quanto riguarda i periferici è giusto ragionare pensando che possa col tempo venire meno il contributo fornito dall’eccesso di liquidità e di conseguenza la sua componente speculativa; non è così scontato per i paesi core, dove prima o poi riemergerà in parte la componente del flight-to-quality.