Il tasso target

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Mercoledì sera, sarà molto importante la comunicazione del tasso target sui Fed Fund, ritenuto appropriato per la fine del 2016. La riunione del Fomc infatti, comunicherà il livello obiettivo di tale tasso, unitamente alla ormai scontata riduzione degli acquisti di obbligazioni.
La media delle aspettative sul tasso target al 2016 si colloca al 2,5%. Il verificarsi di tale pronostico avrebbe un effetto limitato sui mercati, per due ordini di ragioni:

    Il ciclo dei rialzi previsti fino al 2016, sarebbe molto simile a quello innescato nel periodo 2004-2016, con rialzi di 0,25% ad ogni meeting con un ritmo ben preciso da parte della FED.
    Il tasso implicito dei contratti future sull’Eurodollaro Dic-2016 si colloca attualmente attorno al 2,5%, con attese pressoché identiche all’ipotetico tasso di riferimento.

Senza una modifica sostanziale della forward guidance, l’effetto sui mercati sarebbe neutrale, con un moderato proseguimento della fase rialzista dei segmenti a lunga, supportato da un continuo miglioramento dei dati congiunturali.

Tutt’altro effetto sui mercati avremmo invece se le previsioni sul tasso guida per il 2016 si assestassero nell’intorno del 2%.

    Rappresenterebbe un ciclo rialzista eccezionalmente lento rispetto al passato e rispetto alle aspettative, con rialzi di 0,25% ogni due meeting.

Un’indicazione così difensiva sui tassi prospettici, determinerebbe un temporaneo calo dei rendimenti lungo tutta la curva.

Analogamente, favorevoli al mercato obbligazionario, sarebbero eventuali comunicazioni relative al tasso target di inflazione o alla riduzione della soglia per il tasso di disoccupazione. Tali affermazioni farebbero ritenere agli operatori che il ciclo restrittivo ritarderebbe di diversi mesi.

Tuttavia, riteniamo che il movimento di correzione al ribasso dei tassi avrebbe vita breve, poiché gli operatori tornerebbero in breve a considerare i dati congiunturali e le inevitabili implicazioni che comportano: miglioramento del ciclo economico e tassi in rialzo.

Abbassare l’asticella

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E’ curioso leggere su alcuni report di stampa, di come la FED stia considerando cambiamenti sulla propria policy, in preparazione ad un primo incremento dei tassi ufficiali.

Una prima modifica consisterebbe nell’abbassamento del tasso soglia per quanto riguarda la disoccupazione, in seconda battuta, l’introduzione di una soglia più bassa per quanto riguarda il tasso di inflazione.

Dei due, quello che appare più ragionevole, è quello che riguarda il livello di inflazione, anche se introdurre un tale cambiamento non sembrerebbe essere in sintonia con l’ultimo meeting appena concluso.

Abbassare il livello minimo del tasso di disoccupazione è stato sostenuto dal presidente FED di Minneapolis Kocherlakota, il quale esprime parere favorevole alla riduzione del tasso minimo di disoccupazione dall’attuale 6,5% al 5,5%.

Mentre non si discute sull’efficacia, in termini di politica monetaria, sul fatto di fissare degli obiettivi di disoccupazione, molto potremmo dire sull’opportunità di attuare cambiamenti in corsa del suo livello obiettivo: in particolare si intravedono tre differenti potenziali problemi.

  • In primo luogo, quando si iniziano a modificare dei parametri soglia così importanti, gli operatori potrebbero pensare che questi parametri possano essere aggiustati al rialzo o al ribasso. Il beneficio di un tasso obiettivo è che questo serve  come mezzo per comunicare un impegno, piuttosto che fornire un obiettivo. Se il livello è percepito come soggetto a regolari revisioni, cessa di avere un ruolo guida. Questo rischio poi è maggiore in questa fase in cui la futura leadership della FED è in questione.
  • Il secondo problema, piuttosto relazionato al primo, è che il livello del 5,5% del tasso di disoccupazione, è ben al di sotto di quel 6,5% considerato dalla maggioranza dei membri del comitato FED come livello minimo di intervento per attuare una prima mossa di politica monetaria restrittiva e nondimeno ritenuto “tasso naturale di disoccupazione”. Una tale mossa non farebbe che aumentare il dissenso all’interno del FOMC, minando l’aspetto impegnativo della propria policy.
  • Infine, modificare la soglia minima del tasso di disoccupazione implica una nuova sfida comunicativa da parte della Fed, impegnata a modulare le aspettative riguardo all’aggressività dell’aumento dei tassi ufficiali, all’inizio del futuro ciclo restrittivo. Questo problema potrebbe manifestarsi subito dopo il meeting FOMC di settembre, quando il comitato pubblicherà i forecasts per il 2016, prospettive che potrebbero mostrare un’economia vicina al pieno impiego per la fine di quell’anno, ma tassi di interesse ufficiali ancora insolitamente bassi attorno all’1%.

Il caso invece di un livello inferiore del tasso di inflazione appare più lineare. Nulla nella comunicazione della FED, riguardo agli obiettivi di lungo periodo, indica un’asimmetria con il 2% di obiettivo di inflazione. Integrando il tetto attuale di inflazione del 2,5% con un 1,5% di livello minimo sembra perfettamente ragionevole. Rimane da chiedersi come mai non hanno modificato il tasso soglia lo scorso dicembre, quando questo fu introdotto. Introdurlo ora suonerebbe come la metafora di una star dello sport che richiede un’assegnazione di un bonus a metà campionato, dopo essersi dimenticato di metterlo per iscritto all’atto della firma del contratto. L’ottica di aggiungerlo adesso è resa ancora più singolare dal fatto che il tasso di inflazione  PCE core è praticamente ai minimi di sempre, e la Fed è pronta a segnalare una inversione del ciclo accomodante. Naturalmente si può minimizzare la precedente preoccupazione considerando il fatto che il tasso minimo di inflazione si riferisce all’inflazione attesa tra due anni.

Anche per i sostenitori del tasso soglia, il fatto di legare tale livello agli obiettivi di medio lungo termine, è sempre suonato un po’ artificioso, pur essendo compatibile con le scelte del comitato direttivo.

In termini pratici, si intravedono poche controindicazioni alla modifica delle dichiarazioni in tal senso, e non saremmo sorpresi di vedere attuata tale politica in uno dei prossimi meeting della FED.

Riguadagnare fiducia

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Il meeting della Fed di questa settimana si preannuncia un evento.

Non tanto per l’esito delle manovre di politica monetaria, previste immutate, ma per le parole pronunciate da Bernanke nel corso della conferenza stampa.

Nelle recenti settimane la Fed ha chiaramente complicato la propria strategia di comunicazione, e il Chairman ha l’opportunità di riguadagnare il controllo della situazione. Sarà abbastanza abile da ottenere lo scopo, o lascerà dietro di sè ancora una volta una scia di confusione?

Per cominciare, la Banca Centrale non è intenzionata a modificare il percorso sull’acquisto di asset questa settimana. Diversi esponenti hanno dichiarato espressamente quanto sia prematuro ridurre ora l’espansione monetaria.

Sarà interessante verrificare quanto verrà posta l’enfasi sulla contrazione fiscale in atto. Naturalmente un accento poco marcato nelle considerazioni finali, posto su questo aspetto, faranno pensare che lo stimolo monetario verrà rimosso quanto prima.

Grande importanza verrà data all’evoluzione del tasso di disoccupazione, piuttosto che ai dati relativi alla crescita del PIL o al tasso di inflazione.

Il punto critico sarà far comprendere agli operatori di mercato di non avere preclusioni alcune sulle politiche monetarie da adottare, ma allo stesso tempo la Fed non vuole sorprendere o spaventare i mercati. Vorrebbero evitare ciò che è accaduto nel 1994, in cui in seguito a un meccanismo di comunicazione non corretto, i tassi di mercato subirono una impennata vertiginosa.

E’ importante far notare come negli ultimi tempi alcuni esponenti Fed abbiano spostato l’attenzione sulla questione della “data”, tralasciando la questione dei “dati” (intesi come macro). Dopotutto non è possibile comunicare il percorso di politica monetaria, senza rendere consapevoli i partecipanti al mercato che vi è una inevitabile scadenza temporale nell’attuazione della stessa. Onestamente è compito assai arduo modificare l’assetto della politica monetaria basandosi esclusivamente sui dati. La questione diverrebbe troppo soggettiva: quale è il livello , l’evoluzione, dei dati macro ottimale tale per cui una Banca Centrale debba porre in essere variazioni della propria politica?

Concludendo: Questo FOMC è l’incontro in cui la Fed deve riguadagnare il controllo nella propria strategia di comunicazione.

Sarà importante che gli operatori di mercato credano che lo spostamento verso manovre di rientro dell’espansione monetaria siano guidate esclusivamente dai “dati”, e non influenzate da altri fattori.

Bernanke dovrà illustrare e giustificare come il flusso di “dati” sia supportivo, tale da giustificare una manovra di rientro del quantitative easing.